Si avvia verso l’epilogo, almeno legale, la vicenda del “palazzaccio” di Borgata Paradiso a Collegno, dopo che il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso di una società privata e condannato il Comune di Collegno al pagamento di circa 12mila euro di spese legali.
In estrema sintesi, la delibera della giunta Accossato (PD; vicesindaco Tiziana Manzi) del gennaio 2013, con la quale il Comune concedeva una deroga per costruire 87 appartamenti chiededo che il 50% fosse in edilizia convezionata e affitto clamierato, era “fuori dal quadro normativo”.
Una sentenza che, oltre a sconfessare la linea di difesa del sindaco Casciano (PD) tenuta in questi anni nei tribunali, potrebbe adesso aprire nuovi scenari per quello che molti abitanti della Borgata definiscono “economostro”, abbandonato da ormai troppi anni al suo destino e diventato purtroppo parte integrante del paesaggio.
Una vicenda che va indietro nel tempo e che ricostruiamo brevemente: nel maggio 2012, la società Metropolis presentava al Comune una richiesta di costruire in deroga al fine di recuperare l’edificio per ragioni di “razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente”, per cambio d’uso da terziario a residenziale.
L’edificio era infatti stato autorizzato con una convenzione nel lontano 1993 e permesso di costruire nel 2002, originariamente destinato ad uffici e terziario, ma rimasto incompiuto per lunghi anni: la società proprietaria chiedeva quindi di avere il permesso di terminare la costruzione, variandone la destinazione d’uso.
Nel gennaio 2013 il Consiglio Comunale collegnese della Sindaca Accossato aveva approvato una variazione di destinazione d’uso, ma ponendo pesanti vincoli al costruttore: veniva concessa la possibilità di costruire appartamenti su una superficie di 5700 mq circa, restando a destinazione terziaria il 1 e il 2 piano fuori terra (2900 mq circa). Il numero di piani (14) era all’epoca al di sopra dei i limiti previsti dal piano regolatore (altezza massima di 22 metri e 7 piani, limiti che con la variante della nuova Mandelli sono stati superati portando a 10 piani) e il Consiglio Comunale per approvare la deroga chiedeva al costruttore di destinare la metà degli 87 appartamenti ad edilizia convenzionata, con il 30% di questi ultimi ad affitto calmierato.
A quel punto la società Centro Servizi Sistemi d’Impresa, propietaria dell’edificio contiguo di 4 piani in via Antonelli 10 (l’attuale Polo Tecnologico, ex sede della Sistemi Informatica), proponeva ricorso al TAR del Piemonte sostenendo di avere interesse al mantenimento dell’originaria destinazione terziaria (originariamente il vincolo aveva riguardato anche l’edificio di Via Antonelli 10, dunque la Centro Servizi Sistemi d’Impresa sosteneva che anche via Antonelli 12 dovesse rimanere vincolata). Una richiesta respinta nel novembre 2013 da TAR: contro questa decisione, la Centro Servizi Sistemi di impresa presentava appello al Consiglio di Stato. Il Comune di Collegno, nella persona del sindaco Casciano, si costuisce in giudizio.
(In questo groviglio legale, in parallelo Metropolis si era costituita in giudizio sostenendo che la Centro Servizi non avesse alcun interesse a ricorrere e il Comune di Collegno si era costituito in giudizio per sostenere la legittimità della propria delibera. In aggiunta, Metropolis ricorreva al TAR contro la richiesta del Comune di vincolare la deroga alla realizzazione del 50% di appartamenti in edilizia convezionata: nel novembre 2013, il TAR bocciava anche questa richiesta).
Nel giugno 2019, la Centro Servizi Sistemi d’Impresa, constatando che il cantiere di Via Antonelli 12 era in stato di abbandono, chiedeva la cancellazione della delibera comunale del 2013 (quella della deroga). Il Comune di Collegno, a seguito della richiesta, nel luglio 2019 invia i propri tecnici, che rilevano la presenza di un cantiere in corso di esecuzione, di una gru funzionante, con l’immobile realizzato solo nella struttura e nella tamponature
esterne, avvolto da ponteggi, ma i cui lavori risultavano sospesi da tempo. Non essendoci un titolo edilizio (il permesso “originario” di costruire prevedeva il completamento entro il luglio 2008), il Comune richiedeva a Metropolis la documentazione attestante la sicurezza del cantiere, con una verifica a gennaio 2020 delle condizioni di sicurezza del cantiere da parte della ASL, e archiviava nel novembre 2019 il permesso di costruire.
Nel marzo 2020, intanto, il Comune di Collegno negava l’archiviazione della delibera del 2013 alla società Centro Servizi Sistemi d’Impresa perchè a Collegno permane uno stato di emergenza abitativa. A marzo 2021, nel frattempo, Metropolis presentava un nuovo progetto per costruire una casa di 7 piani (nei limiti del Piano Regolatore), ma a maggio 2021 il Comune – poichè non c’era il permesso di costruire in deroga e non era stata firmata la convenzione per gli alloggi di edilizia convenzionata previsti dalla delibera di gennaio 2013, disponeva l’archiviazione della delibera. Da notare che l’archiviazione viene decisa dal Dirigente e non dal Consiglio Comunale, particolare non secondario come vedremo tra poco.
Arriviamo dunque all’oggetto dell’appello al Consiglio di Stato: il Comune di Collegno aveva chiesto un rinvio in attesa delle mosse di Metropolis, ma il Consiglio di Stato ha bocciato la richiesta facendo per altro notare che la delibera del 2013 può essere revocata dal Consiglio Comunale e non dal dirigente del settore urbanistica, che può “solo” archiviare il permesso di costruire. E il Segretario Comunale, negando nel marzo 2020 l’archiviazione della delibera, ne ha di fatto ribadito l’importanza.
Il Consiglio di Stato riconosce che l’appello della Centro Servizi Sistemi d’Impresa è fondato. Sostiene poi che il mutamento della destinazione d’uso poteva essere concesso dal Consiglio Comunale anche senza necessità del permesso di costruire in deroga. Una vera e propria sconfessione, tanto da affermare che “la delibera approvata dal Consiglio comunale il 17 gennaio 2013, oggetto del presente giudizio, si colloca al di fuori del quadro normativo di riferimento e dei presupposti di fatto richiesti”.
Il Consiglio di Stato “bacchetta” la Giunta Comunale dell’epoca, spiegando che “mancano i presupposti individuati dalla legge per la spettanza dei benefici ovvero le esigenze di “razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente” o di “riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione”. Infatti non solo l’area in questione non risulta degradata o oggetto di riqualificazione, ma neppure risulta la presenza di un patrimonio edilizio esistente o un edificio non residenziale dismesso o in via di dismissione.
Per cui la delibera di deroga del Consiglio Comunale si configura come una sostanziale ulteriore variante del titolo edilizio originario o come una sanatoria a seguito della scadenza del detto titolo edilizio, ciò con una deroga agli strumenti urbanistici vigenti. Il Consiglio di Stato definisce “illegittima” anche la doppia deroga approvata anche per i limiti di altezza.
Il Consiglio di Stato smentisce anche che la delibera avesse una finalità di interesse pubblico: la delibera ha introdotto d’ufficio la condizione della destinazione di alloggi edilizia convenzionata e a canone calmierato, al fine di realizzare l’interesse pubblico ma in realtà “di per sé l’intervento proposto non assicurava alcun perseguimento
dell’interesse pubblico, essendo finalizzato a rendere più facilmente collocabile sul mercato immobiliare le porzioni dell’edificio con destinazione residenziale“. Per altro, fa notare il Consaiglio di Stato, la proposta di realizzare alloggi in edilizia convenzionata non è mai stata accettata da Metropolis, che anzi ha fatto ricorso al TAR.
Per tutte queste ragioni, il Consiglio di Stato accoglie l’appello e, per l’effetto della sentenza, viene accolto anche il ricorso di primo grado con annullamento del provvedimento impugnato. Il Comune di Collegno e Metropolis sono state condannate al risarcimento in solido delle spese legali.
E adesso? La sentenza ha una serie di effetti. Il primo, più evidente, è che la delibera del gennaio 2013 non può più essere “utilizzata” perchè mancavano i presupposti legali. L’ex Sindaco Accossato e l’attuale sindaco Casciano ne prenderanno atto, dopo tutti questi anni?
Già nel 2012 l’opposizione aveva sottolineato le gravi mancanze, che alla luce dell’attuale sentenza appaiono adesso ancor più legittimate. “Eventuali costi ad iniziare da quelli della difesa che inevitabilmente dovremo affrontare sin dalla difesa rispetto al ricorso al TAR – scriveva l’opposizione – vengano attribuiti ai responsabili di questa vicenda”: succederà? O come sempre pagheremo noi cittadini, come successo con la TOP srl?
La seconda ipotesi è che Metropolis potrebbe fare ricorso contro la decisione del Comune di Collegno di archiviare il permesso di costruire, dato che ha presentato un progetto che rispetta le altezze (7 piani): servirebbe comunque un nuovo permesso di costruire? Ci può essere un nuovo accordo in deroga, e con che vincoli? Il palazzaccio è destinato a rimanere il simbolo di una amministrazione che da 30 anni parla di rigenerazione con rendering e propaganda ma che all’atto pratico non ha concluso molto?
Sandretto, Mandelli, ex deposito filobus e molte altre promesse sono tuttora ferme, in attesa di una nuova campagna elettorale in cui ci racconteranno che Collegno rigenera: lo sentiamo da 30 anni senza vedere risultati, nel frattempo abbiamo consumato centinaia di migliaia di metri quadri di verde, con qualche strascico nella vicenda della TOP srl di cui l’attuale sindaco Casciano era presidente durante la giunta Accossato.
La terza ipotesi è che si trovi un accordo “allargato” che coinvolga anche la Sistemi: la zona dei due edifici è interessata ad una trasformazione urbanistica che vede lentamente sparire le attività produttive per far spazio ad edifici residenziali. Cambierà il piano regolatore? L’aver spostato la sede della Sistemi in via Magenta, cambia qualcosa? Il fatto che lungo la via ci siano alcuni capannoni vuoti (Union Technology ad esempio, o Aiassa bagni) e il fallimento di Moreggia, cambiano la prospettiva rispetto a dieci o venti anni, quando tutta questa vicenda ha avuto inizio?
Come sempre servirebbe un po’ di trasparenza da parte del sindaco, una programmazione efficace delle trasformazioni urbanistiche accompagnate da un solido lavoro amministrativo, e un’assunzione di responsabilità da parte di chi ci ha portato a questa situazione. Chiediamo troppo?